In Comune di Verderio Superiore, (dal 4 febbraio 2014 con l’unificazione di Inferiore è diventato Verderio) dove la Brianza collinare ha già lasciato il posto alla piana della bassa provincia lecchese, spicca la sagoma dell’immobile denominato “Aia”. L’edificio oggi come ieri non passa inosservato per i particolari originali arabeggianti che catturano l’occhio e stuzzicano la curiosità: come il grosso comignolo ottagonale di rame a forma di bulbo di cipolla, piuttosto strano da queste parti. Fino agli inizi del 2005, il comignolo svettante e il muro di cinta lungo tutto il perimetro erano l’unica cosa realmente visibile. Il resto era nascosto da cespugli di rovi e piante spontanee, vittima di un’incuria che durava da decenni.

Un colpo di fulmine

Per chi crede nei “colpi di fulmine”, fu proprio qualcosa di simile che accadde nel 1991. La Coverd operava a Verderio già da alcuni anni e in paese risiedevano anche i suoi fondatori: Angelo Verderio e la moglie Ornella Carravieri. Alla ricerca di una seconda casa, non era sfuggita loro la bellezza trascurata di quel luogo ameno, fin da quando, avrebbero voluto poterla sistemare e andarci ad abitare. Spinti dal desiderio di realizzare il loro sogno, iniziarono a prendere informazioni sullo stato dell’immobile per poi, successivamente, rintracciare in quel di Monza, gli ultimi proprietari. Non è il caso di soffermarsi sui passaggi di mano, le eredità e i lasciti che l’Aia vide nel corso della sua storia, e passiamo a dire che quel primo tentativo andò a vuoto. Non era in vista alcun progetto di recupero, ma non c’era nemmeno l’intenzione di vendere e gli entusiasmi dei coniugi Verderio si raffreddarono. Invece, mentre cresceva la sensazione che quel rudere nascosto dai rovi, usato anticamente dai contadini del luogo per l’essiccazione e il commercio delle granaglie, avesse una straordinaria e quasi magica affinità con l’attività dell’azienda di famiglia Coverd: la promozione di prodotti naturali – in primis il sughero biondo naturale – per l’isolamento termico e acustico e bioclimatico degli edifici in Bioedilizia e la diffusione delle loro tecnologie applicative.

Le cose cambiarono di nuovo dieci anni più tardi. Nel frattempo i progetti si erano spostati dalla seconda casa, che ormai non era più necessaria, alla sede dei nuovi uffici aziendali – cosa di cui invece c’era bisogno – vista anche la vicinanza con la sede operativa che avrebbe reso più facile le operazioni di trasferimento. Questa nuova prospettiva, unita alla straordinaria opportunità che l’Aia avrebbe dato nel diffondere la conoscenza di un approccio tutto “Italiano” – si potrebbe dire “Verderiese” – alla Bioedilizia, convinse nuovamente la famiglia Verderio nel riproporre l’acquisto. Per molto tempo le chiavi dell’Aia erano state affidate ad un giardiniere con l’incarico di accompagnarvi eventuali compratori e i Verderio tornarono alla carica. Fu l’istinto, più che la ragione, a spingere alla trattativa, sottovalutando un po’ i problemi e le difficoltà. Fatto sta che questa volta l’acquisto andò in porto. Come spesso capita quando si sente raggiunto un obiettivo ambito, l’entusiasmo della caccia lasciò spazio ai grattacapi e la prima volta che i nuovi “quasi” proprietari entrarono nell’Aia – le carte erano ancora tutte da firmare – non ebbero la stessa sensazione di meraviglia che li aveva pervasi tempo prima.

Da una parte dovettero constatare che per fare quello che avevano progettato sarebbe servito acquistare anche un altro pezzo di terra dai vicini (famiglie Cassago e Motta) – ma questi fortunatamente si dissero subito disposti a venderglielo – dall’altra si resero conto che la ristrutturazione li avrebbe impegnati davvero tantissimo. Se non cambiarono idea su due piedi – e poco ci mancò che lo facessero – fu ancora una volta per la determinazione di Ornella. La parte ipogea, cioè quella sotterranea del cortile, fatta di cunicoli resi impraticabili da rovi e piccoli smottamenti, denominata Aia, era sormontata da lastroni di granito di Montorfano. Solo chi aveva frequentato quel luogo da bambino poteva immaginarne la fisionomia e coglierne la dura bellezza, immaginando schiere di lavoranti che affidavano all’azione benefica del vento e del sole le granaglie stendendole umide sulle lastre di granito ad essiccare.

Quel cortile cintato, sorvegliato dalla casa con il comignolo ottagonale a cipolla, era stato un esempio di bioedilizia e bioclimatizzazione contadina – l’unico del genere in tutta la Brianza ed in Europa – e sarebbe stato un ottimo biglietto da visita per Coverd, che da oltre trent’anni fa della Bioedilizia e del Risparmio Energetico il suo “credo”. La “visione” istintiva di come sarebbe potuta diventare l’Aia una volta ripulita e di quel che avrebbe potuto rappresentare confermò la decisione di andare avanti, nonostante le perplessità espresse da un funzionario della Soprintendenza del Ministero per i Beni Ambientali e Architettonici. L’Aia, per il suo valore storico, era infatti soggetta a vincoli molto rigidi e qualsivoglia progetto di recupero avrebbe dovuto sottostare a una lunga trafila di visti e approvazioni, che per giunta avrebbero potuto anche essere negati.

I tempi lunghi e i girotondi della burocrazia sono la cosa più insopportabile per un imprenditore, ma a quel punto si era deciso di ballare e si ballò. Una spinta decisiva, dopo giorni che come detto passarono più a considerare gli ostacoli da superare che a misurarne i vantaggi, arrivò dall’architetto Bruna Galbusera di Vimercate, alla quale la famiglia Verderio aveva già pensato di affidare il progetto di restauro. A sua volta innamoratasi dell’Aia e – da bravo architetto – capace di vedere in una vecchia casa anche quello che agli altri sfugge, si mise subito all’opera e sfornò un progetto così accattivante da fugare anche ogni ultimo dubbio. Sui grandi fogli disegnati a mano libera con dei pastelli colorati spiccavano l’edificio rimesso a nuovo, la parte ipogea ripulita e trasformata in una sorta di percorso museale, il verde del giardino ma anche una nuova costruzione con caratteristiche architettoniche delle antiche serre nobiliari in stile “orangerie” che avrebbe dovuto ospitare i nuovi uffici operativi.

Tuttavia nel disegno tutto appariva armonico ed equilibrato e pareva impossibile che qualsivoglia funzionario avrebbe potuto opporsi a tanta grazia, cosa che di fatto non avvenne salvo piccoli e piccolissimi aggiustamenti. Dopo oltre quarant’anni d’attesa, bastò un mese per fare tutto il necessario. Il compromesso di vendita reca la firma del 31 maggio 2004; un mese più tardi, il 30 giugno per l’esattezza, fu firmato il rogito. A settembre dello stesso anno, acquisita definitivamente la proprietà, si dette inizio ai lavori. Da questo momento in poi, se le cose procedettero spedite, molto dipese dalla fattiva e preziosa collaborazione della Soprintendenza, che vide da subito nel restauro dell’Aia la possibilità di ridare aVerderio e alla collettività un prezioso pezzo della sua storia. Questa porzione, pensata sul lato ovest e nord dell’Aia, era la parte più ostica del progetto e per la Soprintendenza.

Bioedilizia e Bioclimatica antica e moderna

“Esiste un modo eterno di costruire, è vecchio di migliaia di anni e oggi è ancora uguale a come è sempre stato.”

Questo è stato il pensiero guida di Coverd nell’affrontare i lavori dell’Aia che offriva un nuovo approccio nel diffondere un reale simbolo della Bioedilizia “antica” e “moderna”: tradizione e modernità nel rispetto della natura. Indubbiamente il restauro dell’Aia ha fornito a Coverd l’occasione di dare fisicità ai propri ideali in un momento in cui le contraddizioni del moderno stile di vita hanno assunto una dimensione tale da non poter essere più trascurate. La temperatura del globo è aumentata a causa dell’effetto serra; la progressiva scomparsa della fascia di ozono aumenta il rischio di cancro alla pelle; la pioggia acida provocata dall’inquinamento porta alla morte fiumi, laghi e foreste, queste ultime già minacciate dal disboscamento; anche l’aria, l’acqua e i prodotti alimentari sono inquinati.

In questo contesto anche il modo con cui costruiamo le nostre case ha una grande importanza. Pensiamo ad esempio a quel che facciamo per riscaldarle: i nostri avi non potevano permettersi di sprecare il calore del sole, noi invece sì perché se sentiamo freddo non abbiamo che da alzare il termostato. Loro avevano ben chiaro il concetto di isolamento dal freddo, dal caldo e dai rumori, mentre noi siamo portati a considerarlo un qualcosa in più o un lusso. Mentre tutto ciò che è distortamente moderno costituisce un brusco allontanamento dalla storia, qui c’è la prova che il metodo naturale è ancora il migliore, che le antiche verità sono ancora valide e che, proprio in questo mondo moderno, esistono testimonianze dirette delle opere migliori che gli esseri umani abbiano mai prodotto.

Un edificio Bioclimatico

Non sempre la percezione della “bellezza” o della “naturalità” nell’esperienza quotidiana trova una effettiva corrispondenza nelle cose che ci circondano. Il più delle volte dimentichiamo che la funzione determina il valore e che il “naturale” non è una prerogativa della semplicità o peggio della banalità. Costruire un edificio in modo “naturale” implica la conoscenza dei processi biologici fondamentali, condizione imprescindibile per poter determinare quelle pratiche virtuose che ci hanno permesso, attraverso l’esperienza dello staff tecnico, di concretizzare questo ambizioso progetto. In questo pensiero c’è tutta la filosofia costruttiva della Coverd nell’Aia. Va detto che i nostri avi avevano meno problemi nello scegliere i materiali per le loro case perché questi arrivavano dalle risorse disponibili in natura.

In questo modo contribuivano “naturalmente” alla loro salute e a quella del pianeta. Noi abbiamo il privilegio e la responsabilità di scegliere cosa usare e in questo modo incidiamo di più sul nostro futuro. Per fare questo è necessario avere case che non contribuiscano a esaurire le risorse ma anzi le conservino, evitando l’uso improprio di materie di sintesi.
Edifici che siano progettati per non danneggiare l’ambiente, per mantenere in sintonia il corpo, la mente, lo spirito e il pianeta stesso. “Esiste un modo di costruire che rispetta l’uomo”. Questo è stato il pensiero guida della Coverd nei lavori dell’Aia, che hanno visto realizzare in perfetto accordo il restauro conservativo di un antico edificio e la costruzione di uno nuovo.

Il Restauro Conservativo

Nell’Aia si trovano tre tipi di pietra locale: l’arenaria molera, proveniente con ogni probabilità dalla vicina cava di Oggiono, la beola bianca, utilizzata per i pavimenti e le rifiniture interne degli imbotti delle porte, e il granito di Montorfano per le pavimentazioni esterne; entrambe provenienti dalla Val d’Ossola.

Le coperture antiche

Il restauro dell’edificio vero e proprio è cominciato dalla copertura, che si presentava gravemente deteriorata. L’intervento di restauro conservativo è consistito prima di tutto nella rimozione accurata della copertura esistente (salvo orditure principali e legnami originali che sono stati ripristinati e trattati con opportuni impregnanti e protettivi naturali). La posa di un nuovo assito in legno d’abete nell’estradosso ha permesso di isolare la copertura in falda con dei pannelli di sughero biondo naturale supercompatto al fine di preservare la struttura lignea esposta agli agenti climatici. Infine, si è ultimata la copertura con delle lastre in fibrocemento su cui sono stati posati i coppi in cotto recuperati da edifici storici dismessi del basso Polesine. Il tetto così ripristinato ha riacquistato l’originario aspetto antico e importante.

Anche la copertura di buona parte del muro di cinta, una delle particolarità dell’Aia, è stata rifatta per tre lati con gli stessi coppi di recupero. Sul quarto lato, a ovest, a ridosso dell’edificio nuovo, si sono invece usate le tegole originali in cotto a “coda di castoro”, ovvero con terminale arrotondato, recuperate e selezionate durante il restauro. Il restauro della cinta muraria è stato completato dal totale rifacimento degli intonaci su entrambe le facciate, in sostituzione dei precedenti che si presentavano completamente esausti e deteriorati. Gli intonaci, dopo approfondite analisi e ricerche di laboratorio, sono stati riformulati nella loro composizione e granulometria utilizzando materiali, leganti e cicli di lavorazione tipici dell’Ottocento.

Le facciate ottocentesche

Nonostante le diffuse fessurazioni, l’edificio non si presentava in condizioni precarie tali da far temere per la sua stabilità. Era però notevolmente deteriorato per via delle infiltrazioni di acqua (penetrate dal tetto e dalle gronde usurate), delle tensioni strutturali, degli alberi e delle piante rampicanti che, in alcuni punti, avevano addirittura fasciato le pareti. Si sono rese necessarie delle operazioni di manutenzione e di rinforzo per prevenire un accentuarsi del degrado e riportarlo alla bellezza originaria. Per i lavori esterni si è agito su diversi fronti. Per primo, sulle parti in pietra molera, dove si è provveduto innanzitutto alla rimozione dell’intonachino che ricopriva le superfici e subito dopo al loro consolidamento e alla ricostruzione accurata delle parti mancanti, tra cui alcuni capitelli, con speciali tecniche di restauro. La seconda parte del lavoro si è concentrata sugli intonaci, in parte restaurati dopo essere stati consolidati e in parte ricreati ex novo con ingredienti uguali agli originali per mantenere l’omogeneità della superficie.

L’intervento è terminato con l’accurata ricostruzione della trama del disegno originale – in stile arabo utilizzato nelle “Mashrabiya” – con tecniche applicative “Tadelakt”, un rivestimento murale a base di calce e saponaria, tipico del Marocco, per poi procedere alla trasposizione del motivo decorativo sulle pareti, con l’antica tecnica dello spolvero, alla quale è seguita la filettatura a mano di tutto il disegno e la campitura dei decori, con cromie campionate sulla base di quelle originali rinvenute durante il lavoro di rimozione dell’intonachino. Anche in questo caso si sono utilizzati materiali totalmente traspiranti in completa sintonia con tutte le lavorazioni che un tempo erano già state utilizzate.

Gli interni antichi

All’interno, le pareti sono state isolate con le tecnologie Coverd e in particolare con un cappotto termico di sughero biondo naturale supercompresso, successivamente rifinito con un intonaco speciale completato da pitture e affreschi sulle volte e alle pareti per ricreare l’estetica originaria. I portoncini e le persiane scorrevoli sono stati conservati dopo essere stati anch’essi restaurati con le stesse tecniche e i colori di allora.

Tutti gli interventi anzidetti sono stati concordati con l’architetto Lorenzo De Stefani della Soprintendenza del Ministero per i Beni Ambientali e Architettonici, che ha dato una preziosa collaborazione con direttive e consigli utili anche durante la successiva realizzazione della nuova ala dell’Aia, contribuendo così al riuscito intervento di restauro conservativo grazie al quale è stato restituito al paese di Verderio un immobile che ha rivestito una profonda e significativa importanza dell’attività rurale in Brianza.

I decori e gli arredi

Oggi la parte storica ospita gli uffici direzionali e amministrativi della Coverd. Sono dunque – tuttora come lo erano in origine – un luogo deputato al lavoro, che però è cambiato e si è adeguato ai tempi. Nelle due torrette laterali – ciascuna provvista di un caminetto – e nei cinque locali che le collegano, gli scarni arredi di una volta hanno lasciato il posto ad ampie scrivanie ed armadi. Il moderno però non ha coperto l’antico e negli arredi come nei decori si è voluto mantenere un forte legame con la storia e con la natura di allora. Ma anche con la bellezza, nella convinzione che questa sia parte integrante del “bene abitare”. Accedendo dall’ingresso principale alla parte antica attraverso la passerella vetrata che la collega a quella nuova, il soffitto è affrescato con dipinti a “trompe l’oeil” che rappresenta il cielo e la vegetazione circostante regalando la sensazione di trovarsi all’aperto. Il motivo ornamentale “a foglia di platano” del pergolato dipinto sulla volta, è un disegno originale di un ferro battuto primi ‘900 di Mazzuccotelli, le ampie vetrate, consentono di avere un’immediata relazione tra interno ed esterno, tra lo splendido esemplare di platano e il verde dell’Aia.

Più avanti, nelle torrette e negli uffici, sulle volte affrescate trovano posto i temi delle quattro stagioni, oltre a volte dipinte a “trompe l’oeil” con graticci metallici sui quali arrampicano glicini e gelsomini – un chiaro richiamo alla natura – delicatamente personalizzate nella torretta a est dedicata alla primavera – l’ufficio di Ornella Carravieri – con dei putti che ritraggono il viso della figlia Diana e dei nipotini Elisabetta e Emanuele, in un gioco di allegorie floreali. La stanza nella torretta a ovest, rappresenta l’estate, con cornucopie cariche di grano, pannocchie e papaveri ed introduce alle altre stanze con cieli dipinti e ornati con scudi e grappoli d’uva, conchiglie e rami di melograni realizzati a basso rilievo.
La scansione tra una stanza e l’altra è valorizzata da fregi dipinti “a grisaille” con temi floreali di alloro e foglie di quercia.

La leggerezza e l’armonia delle parti pittoriche, sono il risultato del giusto rapporto tra le pareti appena velate, le volte dipinte e i sovrapporta ornati delle due torrette; la cura dei particolari e delle cromie è il risultato di un’attenta ricerca di equilibrio decorativo garantito dalla professionalità delle due progettiste e decoratrici, Beatrice Fumagalli e Gigliola Negri, che hanno saputo fondere le esigenze della famiglia Verderio con il sapore antico che questo splendido edificio storico richiede. I disegni sui muri sono stati riportati con la tecnica dello spolvero che consiste nel preparare i disegni a dimensione reale su carta, bucare i contorni con una punta, appoggiare i fogli su una parete e tamponare con polvere di carboncino in modo da lasciare la traccia di puntini in corrispondenza dei disegni, per poi passare alla pittura definitiva. Oltre alle decorazioni interne, si sono occupate della progettazione e decorazione “a bugnato” della facciata della nuova ala, così come delle facciate dell’edificio storico.

Un richiamo al territorio – in particolare alla vicina sponda bergamasca dell’Adda – è la carrellata di riproduzioni di tele del Caravaggio – opera di Silvia Del Secco – che adornano le pareti anche nell’ala nuova. Si possono ammirare: la conversione di Matteo, La Madonna dei pellegrini, la Maddalena penitente, la Crocifissione di San Pietro, la Madonna dei Palafrenieri di Sant’Anna, la Conversione di San Paolo, la Deposizione di Cristo nel sepolcro, il Riposo durante la fuga in Egitto, Santa Caterina d’Alessandria, la Cena in Emmaus (quella della Pinacoteca di Brera di Milano), i Bari, San Girolamo, il Giovane con cesto e il Giovane che sbuccia un frutto. Quattordici opere in tutto, copie fedeli anche nelle dimensioni, firmate da una maestra d’arte come Silvia Del Secco esposte al paese di Caravaggio nel Settembre 2005 in occasione della festa del “Caravaggio Day”. Il richiamo alle opere del Merisi rafforza il legame tra l’Aia e il suo territorio, fatto anche di arte e bellezza. I lavori di decorazione, interni ed esterni sono durati otto mesi tra il 2005 e il 2006.

La parte ipogea

Il granito forma anche la struttura del cortile rialzato nel modo che ben descrive la relazione statica dell’ingegner Giuseppe Damiani di Ponte San Pietro: “Le lastre di granito che costituiscono l’impalcato sono poste in opera leggermente scostate l’una dall’altra in modo tale che l’acqua meteorica non ristagni, ma fluisca liberamente, percolando nel terreno sottostante che drena con facilità. Dette lastre poggiano su pilastri interni in mattoni pieni alti circa 1,45 metri e si impostano su muri continui in pietra che collegano tutte le linee dei pilastri in direzione nord-sud e si spingono sul terreno fondale. Praticamente si tratta di una serie di cunicoli sotterranei collegati da un camminamento ortogonale nelle vicinanze dell’edificio”. Lo stato di conservazione è il seguente: “Le lastre e le travi in granito si presentano in buone condizioni e i pilastri in mattoni piani risultano ben compatti e asciutti.

Le murature in pietra di collegamento sono invece in pessimo stato a causa della malta argillosa utilizzata all’epoca e dei percolati d’acqua”. L’intervento è consistito nella pulizia dei pilastri interni in mattoni e nel restauro delle parti in muratura, asportando e riposizionando le pietre sconnesse come in origine. Ciò ha consentito la conservazione del camminamento ortogonale creato dall’interruzione dei muri a ridosso dell’edificio, possibile perché la statica dei muri non ne ha risentito. Inoltre è stata rimossa la terra mista a macerie che si addossava al perimetro e scendeva a scarpata verso l’interno. Le opere anzidette e un accurato progetto di illuminazione artificiale hanno trasformato la parte sotterranea dell’Aia in un percorso museale che illustreremo nel prossimo capitolo.

La nuova ala dell’aia

Per la costruzione dell’edificio della nuova ala dell’Aia si è puntato su un concentrato di tecnologie naturali applicative di ultima generazione. Soluzioni e materiali adottati sono rigorosamente all’avanguardia e rispondono a principi prima di tutto igienici ed ecologici rispondenti alla filosofia Coverd di una costruzione in Bioedilizia, Bioclimatica ed Ecosostenibile. Riguardo alla scelta architettonica, la tentazione di scimmiottare l’antico – che si sarebbe rivelata un errore – è stata evitata ricorrendo a un modello in stile “orangerie” ottocentesca a linee ortogonali che fanno dell’edificio un corpo originale, senza contrasti con l’illustre edificio adiacente.

Sfruttare le forze della natura

È un dato di fatto che le nostre case ricevono calore e luce dal sole e questa è la prima fonte di approvvigionamento di energia. Ben lo sapevano gli antichi costruttori dell’Aia che – come detto – avevano eretto il muro di cinta in modo che proteggesse dai venti senza ostacolare l’irraggiamento. Anche nella progettazione del nuovo edificio si è tenuto conto degli apporti solari, avendo ben presente che anche una sola ora di insolazione in più al giorno può significare un risparmio di energia in termini di luce e di riscaldamento.

Anche le prese d’aria, poste sul tetto piano, che contribuiscono a mantenere il giusto grado di umidità all’interno, sono state orientate nella direzione predominante dei venti locali e in questo modo ne sfruttano al massimo l’effetto benefico. Oggi, la messa a punto di sistemi in cui la ventilazione meccanica è integrata alternativamente e automaticamente con quella naturale, risponde agli ultimi avanzamenti della ricerca nell’area del benessere, in cui la sensorialità del soggetto umano sostituisce la meccanicità dei sensori impiantistici, su cui purtroppo si basa ancora il controllo esclusivo delle condizioni ambientali negli edifici.

L’isolamento termico e acustico delle strutture perimetrali

È poi facilmente intuibile l’importanza fondamentale della qualità dell’isolamento delle strutture edili che delimitano un edificio. Il corpo umano regola la propria temperatura e l’equilibrio bioelettrico grazie alla traspirazione della pelle e al fatto che questa è collegata con le terminazioni nervose, con i vasi sanguigni e con le ghiandole. Se vogliamo stare bene, anche la nostra “seconda pelle” (i vestiti che indossiamo) deve essere traspirante e lo stesso vale per la “terza pelle”, la casa in cui abitiamo. Per la nuova costruzione si è presa a modello l’idea di “edificio bioedile passivo e bioclimatico” realizzato con materiali naturali e biocompatibili. Il problema di rendere la nuova Aia un edificio confortevole in tutte le stagioni dell’anno è stato affrontato e risolto con una struttura portante monolitica, integrata con sistemi di isolamento igro-termico e acustico costituiti da importanti stratigrafie di isolanti naturali; queste ultime poste – con tecniche differenti – sia all’esterno che all’interno. Tutte le tecnologie applicative sono firmate Coverd.

La muratura portante è stata realizzata al piano terra con una struttura in cemento armato e al piano superiore con dei laterizi semipieni di venti centimetri di spessore, rifiniti con intonaco di calce idraulica su entrambi i lati. Sul lato esterno è stato applicato un isolamento bioclimatico costituito da un cappotto di sughero biondo naturale in grado di proteggere l’edificio dalle intemperie evitando i ristagni di umidità, annullando così il rischio di muffe e salnitri. Tale sistema costituisce anche un’ottima protezione acustica. Per l’interno è stata invece scelta una doppia coibentazione termica traspirante a cappotto che isola e protegge ulteriormente la struttura dalla temperatura conseguente al funzionamento dell’impianto di riscaldamento.

Sempre all’interno, la coibentazione termica e acustica è stata ottimizzata da una controparete costituita da doppie lastre di cartongesso distanziate dieci centimetri dalla struttura in laterizio, con lo scopo di creare un’intercapedine dove sono stati alloggiati pannelli isolanti in sughero biondo naturale supercompatto accoppiati a pannelli in lana di pecora. Questo sistema “a strati” garantisce l’inerzia termica e di conseguenza la massima protezione del muro – letteralmente ingabbiato all’interno dei due pacchetti isolanti – da umidità temperatura in tutte le stagioni e con qualsiasi condizione atmosferica. Allo stesso tempo consente alla struttura la traspirazione necessaria per un corretto equilibrio termoigrometrico, grazie anche alle qualità dei materiali isolanti offerti da madre natura e sapientemente impiegati da tecnici competenti. Per prevenire i ponti termici – ossia il passaggio di umidità dovuto al contatto tra superfici a differente temperatura – sono stati protetti adeguatamente i pilastri e le travi orizzontali. Allo scopo sono stati usati pannelli di sughero biondo compresso con il sistema del getto in controcassero.

Adottando le soluzioni applicative descritte è possibile evitare l’impiego di dannose barriere al vapore (poste sul lato caldo dell’isolante) che, come si sa, generano nel tempo un vero e proprio “cancro” alla muratura. La protezione igro-termo-acustica delle strutture edili costituenti l’involucro dell’edificio permette l’indipendenza delle condizioni climatiche interne da quelle esterne e un utilizzo ottimale degli impianti di riscaldamento e raffrescamento, lasciando respirare i muri senza che la struttura edile subisca delle sollecitazioni.
Avendo per obiettivo la realizzazione delle migliori condizioni di vita possibile, tale sistema di isolamento – pur rispondendo appieno ai canoni della bioedilizia – viene definito bioclimatico per antonomasia.

L’isolamento termoacustico delle strutture orizzontali

La pavimentazione è stata realizzata sui due piani della struttura per una superficie di circa seicento metri quadrati e dotata di riscaldamento a pannelli radianti. Questa tecnologia – di riscaldamento e di raffrescamento – basata sulla circolazione di acqua a bassa temperatura si è abbinata molto bene con l’isolamento igro-termico dei sottofondi ottenuto mediante una caldana leggera – efficace anche dal punto di vista acustico – formata da granuli di sughero biondo naturale bolliti e ventilati amalgamati con un vetrificante a presa aerea. Per valutare lo spessore della caldana – sulla quale è stata appoggiata con apposite “clips” la rete d’acciaio con le serpentine del riscaldamento radiante – si è presa in considerazione l’altezza delle tracce degli impianti elettrici e sanitari, che devono sempre risultare abbondantemente “rasate” in modo da non creare ponti acustici.

Come ulteriore protezione dai ponti acustici e come elemento di separazione tra il sughero e il sovrastante massetto sabbia-cemento è stato scelto un particolare materassino di lana di pecora accoppiato con un foglio di carta politenata. La pavimentazione è stata realizzata con la stessa beola bianca della Valdossola, usata nella seconda metà dell’Ottocento per l’edificio antico.

La coibentazione della copertura piana

Il tetto è indubbiamente una parte molto importante di un edificio perché assolve a più funzioni. Oltre a riparare dalle intemperie, deve ridurre al minimo l’escursione termica in tutte le stagioni dell’anno, riducendo di conseguenza il consumo energetico per il riscaldamento e il raffrescamento. Ancora una volta sono fondamentali la coibentazione e la ventilazione della sottostruttura. Riguardo alla ventilazione, le cose si complicano di fronte a una copertura piana, dove non può essere sfruttato il naturale moto convettivo delle correnti d’aria come avviene nei tetti a falda inclinata. Servono allora soluzioni tecniche particolari, come quelle escogitate dagli antichi costruttori dell’Aia per fare essiccare il grano. Nel caso specifico, sono stati impiegati dei pannelli preformati abbinati a degli aeratori a tronco di cono “effetto Venturi” che, grazie a dei particolari comignoli bidirezionali fissati nella copertura, espellono l’aria calda dall’intercapedine creata tra i pannelli di sughero e la caldana e inspirano quella fresca sfruttando i moti convettivi creati dall’aumento di volume dell’aria riscaldata e dalla depressione dell’aria raffrescata.

La pendenza necessaria al deflusso dell’acqua piovana è stata ottenuta con una caldana di sabbia e cemento sormontata da un manto impermeabile. Tra la caldana e lo strato portante di laterocemento è stato interposto, come isolante, uno strato importante di sughero biondo naturale dallo spessore di dodici centimetri. Nell’intradosso della copertura e in aderenza al solaio in laterocemento è stata applicata un’ulteriore coibentazione con un cappotto di sughero biondo naturale applicato al soffitto; si è poi creato un abbassamento con l’ausilio di cassonetti perimetrali con al centro una controsoffittatura fatta di “teli tesi ad effetto liscio”. Questa soluzione permette di schermare in modo elegante l’importante intervento di correzione acustica controllando il tempo di riverbero nei sottostanti locali operativi, rendendo intelligibile la parola e offrendo a chi ci lavora un perfetto comfort acustico.

Certificazione energetica

L’isolamento igro-termico-acustico realizzato con la filosofia delle tecnologie Coverd, ha permesso di conseguire una classificazione energetica in classe A, nonostante l’edificio sia stato ultimato nel luglio 2006 e il D.L. 311 sul contenimento energetico è stato legiferato il 31 dicembre 2006. Il raggiungimento della classe energetica e la relativa certificazione ottenuta il 31 ottobre 2007 in classe A è stata confermata dopo aver eseguito volontariamente con rilievi strumentali in opera mediante termografie e termoflussimetri. È risultato uno dei primissimi edifici in classe A realizzati nella Regione Lombardia come testimonia un articolo pubblicato dal quotidiano “Il Sole 24 ore” del 20/2/2008.

La disposizione razionale degli spazi

All’ingresso dell’area tecnica e commerciale si trova un atrio spazioso da dove parte un lungo corridoio posto sul lato ovest dell’edificio che mette in comunicazione tutti gli uffici; sulle sue pareti hanno trovato posto alcune riproduzioni del Caravaggio e l’impressione è quella di una galleria d’arte. Le voci si odono cristalline e non si avverte il fastidio del riverbero.
Nei tre uffici direzionali, nell’open space operativo, nella hall e nelle aree di trasferimento i pannelli fonoassorbenti di sughero biondo naturale applicati al soffitto offrono una buona acustica e sono mascherati da un sistema di telo teso a “effetto liscio” che fa da controsoffitto e, a sua volta, riduce il riverbero (eco). Fanno eccezione l’archivio e la zona adibita a bar, dove si è optato per un controsoffitto a pannelli preformati di sughero colorato su telaio in alluminio, anch’esso con alti indici di fonoassorbimento e di fonoisolamento.

Nell’interrato è stata ricavata la sala convegni e la relativa reception per permettere lo svolgersi di eventi senza influire sulle normali attività degli uffici. Sempre nell’interrato si trovano anche una sala espositiva, un ufficio commerciale, una mensa, un archivio e gli spazi che ospitano le infrastrutture tecnologiche dei servizi erogati. In tutto il piano il controsoffitto è stato realizzato con pannelli preformati e pretinteggiati di sughero biondo naturale – una delle più importanti tecnologie applicative di Coverd – anche perché siano visibili agli ospiti in occasione dei convegni. Anche nell’ala nuova, infine, nei corridoi e in alcuni uffici sono fruibili alle pareti le riproduzioni dei capolavori di Caravaggio, a testimonianza di un legame artistico con il territorio che continua nel tempo.

L’uso del colore

I colori sono importanti per la loro influenza sul benessere psicofisico delle persone. Nell’Aia sono stati scelti con particolare attenzione: “bordeaux” per la sala convegni, “aranciato tenue” per la reception e la mensa aziendale, più deciso per le aree adibite ai servizi infrastrutturali, “verde” per la sala espositiva e l’ufficio commerciale mentre il “giallo terra di Siena” viene utilizzato per i servizi. Entrando nei vari locali di questo piano – ancora più che a quello superiore – una sensazione di comfort sensoriale pervade la vista e l’udito, grazie ai colori e all’acustica perfetta che elimina i rumori di fondo garantendo l’intelligibilità e la qualità del parlato. Il bello e il confortevole, insieme, sono due componenti fondamentali di una casa veramente bioclimatica. L’Aia antica e quella moderna: tradizione e modernità nell’arte di costruire case a misura d’uomo nel pieno rispetto dell’ambiente.

Samuele Villa